«Circa una decina di anni or sono, nel corso di un incontro poetico nella sala di un collegio pavese, un giovane studente barbuto mi colpì con una sua articolata e acutissima domanda, a cui dubito di aver saputo rispondere bene. Era Massimo Gezzi, che da lì in avanti avrei conosciuto meglio, letto e apprezzato tanto per l’intelligenza critica quanto per l’intensità, l’urgenza e il controllo espressivi. Il suo primo libro, oggi credo introvabile, Il mare a destra, stava per uscire presso le edizioni Atelier (sarebbe stato pubblicato nel 2004, poco dopo, credo, quella prima occasione di incontro), e l’avrei letto subito con ammirazione; quello che non sapevo era che proprio in quei mesi e in quegli anni il giovane Gezzi andava a intervistare alcuni tra i più importanti autori italiani e stranieri, ponendo loro domande notevolissime, che rivelavano o avrebbero dovuto rivelare agli intervistati di essere interrogati da un giovane attento, molto preparato e, soprattutto, entusiasta e affamato.
Questo libro, Tra pagine e mondo, raccoglie appunto il frutto di quei frenetici anni di indagine e di scavo; e lo fa assemblando le interviste (a Giovanni Raboni, Edoardo Sanguineti, Aldo Nove, Umberto Piersanti, Milo De Angelis, Seamus Heaney e John Ashbery) insieme all’altra forma di intervento sulla poesia, cioè la recensione (a molti libri di molti autori contemporanei, giovani e meno giovani). Ne risulta così un’opera che è, prima di tutto, il resoconto obliquo e naturalmente solo parziale di una formazione intellettuale, cioè che si può leggere in relazione al suo autore, e al percorso da lui svolto nell’arco cronologico che va da Il mare a destra a L’attimo dopo, la raccolta più recente e più matura di Gezzi, apparsa nel 2009, ossia in sostanza nel decennio che apre il nuovo secolo. In questo senso, e magari tenendo d’occhio l’altro paesaggio culturale attraversato dall’autore, cioè quello della ricerca letteraria accademica e scientifica (oltre ai non pochi e non marginali saggi critici, bisognerà almeno ricordare il suo notevole commento al Montale del Diario del ’71 e del ’72), il lettore potrà cogliere meglio il vasto orizzonte di riferimento, testuale e teorico, che fa da sfondo alla poesia di Gezzi, e apprezzare più coscientemente una delle caratteristiche più notevoli di questo ancora giovane poeta dei nostri giorni, che è quella di tenere insieme, apparentemente senza sforzo (e invece: che sforzo enorme, di pensiero e psichico, devo comportare tutto ciò!), la lucidità intellettuale, la coscienza critica e la freschezza e l’urgenza dell’espressione; non sarà proprio il binomio caro ad Ungaretti di innocenza e memoria, ma neppure saremo troppo distanti da quel viluppo di questioni brucianti. Letto così, il volumetto proietta in sostanza una luce diversa sull’opera poetica del suo autore, ne rivela la prospettiva culturale, il panorama implicito, e ne dichiara alcune delle voci che dialogano sotterraneamente, dietro il ritmo e le immagini.
Ma naturalmente il libro, e soprattutto la sua più ampia prima parte, ha anche una portata più ampia e relativa invece alle risposte fornite dagli autori intervistati. Da quest’altro punto di vista, sarà interessante osservare che le conversazioni oscillano, e forse questo è inevitabile nel genere “intervista”, tra due polarità: quella che potremmo definire dell’autocommento, e l’altra che invece suggerisce una mappa, non di rado polemica ed evidentemente sempre soggettiva, del dibattito contemporaneo, delle simpatie e antipatie, delle opzioni etiche, poetiche e politiche. La prima di queste polarità è di evidente interesse ermeneutico; come spesso accade, la voce degli autori, ciò che dicono e ciò che preferiscono tacere, aiuta a decifrarne meglio la marca stilistica, talvolta persino a penetrarne con maggiore intelligenza il singolo libro o il singolo testo, e a riconoscere il divenire dell’opera negli anni e nei decenni. Quanto invece alla collocazione che ogni autore tenta di fare di sé nel vasto o angusto mondo della poesia italiana recente, spetterà al lettore misurare, valutare e apprezzare a suo gusto e giudizio il maggiore o minore tasso di garbo, understatement, veemenza e persino talora tracotanza di cui questo o quell’intervistato dà prova, per scelta cosciente o per abitudine inveterata. Ma non c’è dubbio che molte sono le questioni significative e centrali nella ricostruzione del secondo Novecento italiano che alcune delle interviste sollevano: il rapporto tra scuole e tendenze, tra vera o presunta avanguardia e vera o presunta restaurazione; l’esistenza o l’evanescenza della cosiddetta “linea lombarda”; la lontananza o la vicinanza della parola poetica alla cogenza della realtà, alla sua miseria e alla sua grandezza; il peso della tradizione, il suo maggiore o minore influsso sulla scrittura, con la presenza o la distanza di alcuni grandi classici, l’importanza dell’orizzonte europeo, e via discorrendo. L’elenco potrebbe infatti essere anche più ampio, ma queste indicazioni basteranno per avanzare l’idea che, proprio attraverso le dichiarazioni dirette ed esplicite degli autori intervistati, sia possibile intravvedere il quadro d’assieme degli ultimi cinquant’anni di storia letteraria italiana, con tutti i nodi, le contraddizioni, i momenti di contrasto e di attrito. Non è cosa da poco, per un libro di questa natura; e, di nuovo, il risultato dipenderà in eguale misura dalla lucidità delle domande e dall’efficacia delle risposte; insomma dall’intelligenza critica e dalla passione letteraria che abitano questo libro e che ne animano i suoi protagonisti.
Detto delle molte cose positive e meritevoli che fioriscono Tra pagine e mondo, si può forse concludere con due modeste osservazioni un po’ meno allegre. La prima si affida a una sensazione, chiamiamola così, che non di rado si può avvertire sulle pagine di una rivista o di un sito internet italiani in cui si ragiona di poesia, e che qualche risposta raccolta in questo libro sembra a volte riaccendere: la sensazione che il “dibattito” sulla poesia recente tenda talora ad avvitarsi su se stesso, rimanendo un po’ troppo avvinghiato a faccende tutto sommato locali, a simpatie, antipatie, botte e risposte, regolamenti di conti che provengono ancora da un passato prossimo verboso e talora fumoso, e che rischiano talvolta di soffocare, quanto più credono invece di attizzarlo, il fuoco della controversia e la riflessione sul senso e sul ruolo della poesia oggi, dimenticando o sottovalutando ciò che di importante sta avvenendo fuori d’Italia, in un universo un po’ più ampio, che ragiona in base a parametri almeno in parte differenti (non necessariamente migliori, ma se non altro meno vincolati, meno autoreferenziali, meno stantii). La seconda osservazione potrà contentarsi di un accenno: in qualche caso, il tono responsivo degli autori, il modo con cui considerano o non considerano l’impegno e l’onestà del loro giovanissimo interlocutore, mettono in mostra se stessi schiacciando o negando gli altri, lo stile insomma umano che alcune interviste suggeriscono è piuttosto desolante. D’altra parte, nessuno ha mai detto che i “poeti” debbano per forza essere antropologicamente diversi dai loro contemporanei».